Nella mentalità comune i famosi “esercizi” prescritti dai fisioterapisti sono un “in più” da aggiungere alla terapia vera e propria per evitare una ricaduta. Risulta infatti difficile pensare che in certi casi la vera terapia sia il movimento forse perché è proprio il movimento che, nell’esperienza quotidiana, causa una riacutizzazione dei sintomi riferiti dal paziente. Di conseguenza il comportamento che solitamente si osserva nei pazienti con dolore è proprio l’evitamento del movimento per paura di provare dolore e “infiammare” ancor di più la struttura.
Oserei dire che questa credenza è comune anche ad alcuni professionisti del settore. E’ senza dubbio difficile capire quando il movimento può essere il vero “jolly” da giocarsi in qualità di terapista per sbloccare una situazione.
Servono inoltre specifiche competenze per la prescrizione dell’esercizio terapeutico e l’applicazione dello stesso nelle fasi acute e sub-acute in certi casi “spaventa” un po’. A tal proposito la gestione dell’esercizio terapeutico nel mal di schiena è particolarmente complicato.
Il corpo umano è dotato di notevoli capacità di adattamento che, se sfruttate in modo adeguato, possono indurre il processo di guarigione.

VI RACCONTO LA STORIA DI QUESTA PAZIENTE

Una signora di circa 40 anni che ho trattato per la prima volta circa 1 anno fa per il riacutizzarsi di una lombosciatalgia sinistra (dolore lombare irradiato all’arto inferiore sinistro lungo il decorso del nervo sciatico) che era stata trattata qualche mese prima con farmaci, fisioterapia e arrivando persino alla terapia del dolore.
Quando l’ho visitata per la prima volta ho preso visione di tutti gli incartamenti del caso e della risonanza magnetica lombosacrale. Si trattava di una lombosciatalgia con ernia discale L5-S1 e spondilolistesi di grado minimo (scivolamento di una vertebra rispetto all’altra) di L4 su L5.
La spondilolistesi è un’anomalia strutturale che deve essere tenuta sotto controllo perché tende a peggiorare e può portare a complicazioni piuttosto severe.
La paziente durante il primo incontro mi ha riferito inoltre che nonostante il dolore alla gamba in un primo momento se ne fosse andato il mal di schiena è rimasto sempre uguale.

LA CONDIZIONE PSICO-SOCIALE E LAVORATIVA PUO’ FARE LA DIFFERENZA

Un dolore che dura da così tanto tempo, se pur con andamento ondulatorio, influisce anche sulla sfera psico-sociale della paziente che quando si è presentata nel mio studio era evidentemente provata riferendomi di essere “giù di morale e demotivata”.
Era costretta inoltre a lavorare per molte ore sia durante il giorno che durante la notte per prendersi cura di due signori anziani non autosufficienti riducendo al mimino qualsiasi tipo di “vita sociale”.
Queste informazioni, non apparentemente legate all’ambito muscolo-scheletrico, sono invece molto importanti per il fisioterapista.
Un tono dell’umore basso con scarsa motivazione, nell’ambito di una sindrome dolorosa cronica, è spesso correlato ad un’alterata percezione corporea e alterato controllo motorio distrettuale.
Analizzando invece la tipologia di lavoro svolto è importante sottolineare come la gestione dei cambi di posizione di persone non autosufficienti in ambiente domestico (e quindi senza poter avere l’ausilio di un collega o di un lettino elettrico) può risultare molto stressante per le strutture della colonna vertebrale soprattutto se non si presta attenzione alla modalità di attuazione.
Possiamo quindi immaginare come le anomalie posturali e motorie in parte correlate alla condizione psico-sociale espongano la paziente ad un sovraccarico in ambito lavorativo ancora maggiore.
Come vi dicevo la vera competenza del fisioterapista sta in primo luogo nella capacità di ascoltare ma soprattutto di osservare il paziente. E’ importante osservare come si muove anche mentre non si sente osservato per cercare di captarne le abitudini e gli atteggiamenti.
Un particolare che ricordo molto bene di questa paziente era l’atteggiamento posturale in posizione seduta: natiche appoggiate sulla metà anteriore della sedia e schiena appoggiata allo schienale come se fosse “accasciata” su se stessa. Questo atteggiamento posturale lo si ritrova spesso nel sesso maschile ma se caliamo questo “modo di stare seduta” con quello che sappiamo riguardo il tono dell’umore e la scarsa motivazione allora tutto torna.

VI RISPARMIO L’ESAME OBIETTIVO E IL TRATTAMENTO IN FASE ACUTA PERCHÉ’ VORREI SOFFERMARMI SU QUELLA CHE E’ STATA LA VERA SFIDA

La sciatalgia fin dai primi trattamenti è diminuita ma il dolore lombare stentava a diminuire nonostante vari tentativi terapeutici sia con tecniche manuali a lettino che con ginnastica posturale.
E’ proprio questo il punto su cui vorrei soffermarmi: la ginnastica posturale.
Imparare a muoversi in modo “corretto” durante la seduta con il fisioterapista con esercizi globali che non riprendono nessuna delle attività che normalmente la paziente svolge durante il giorno è pressoché inutile.
E’ invece molto più utile lavorare nell’ambito dei movimenti che creano dolore individuando e correggendo le componenti motorie non “coerenti” e rinforzando lo schema.

COSA NON ANDAVA BENE NEL MODO DI MUOVERSI?

Analizzando le modalità in cui veniva eseguito il piegamento in avanti del tronco (attività molto frequente e che esacerbava il dolore della paziente) era evidente come il rachide lombare venisse portato in posizione di flessione anteriore precocemente riprendendo quel comportamento “maladattivo” che avevamo osservato anche nel modo di sedersi.
Andando poi a testare la forza resistente della muscolatura degli erettori spinali (gruppo di muscoli che hanno un importante ruolo posturale ma agiscono anche nel raddrizzamento del tronco) emerge una effettiva debolezza.

CARICHIAMOLA QUESTA SCHIENA

L’allenamento contro resistenza per lo sviluppo della forza è spesso tralasciato nelle condizioni dolorose in genere e soprattutto in quelle riguardanti la colonna vertebrale.
In realtà le più recenti ricerche scientifiche in questo ambito parlano dell’allenamento della forza come scelta terapeutica efficace nella gestione di questa tipologia di mal di schiena.
Pensandoci bene infatti il nostro obiettivo è diventato non solo correggere lo schema motorio errato ritardando la flessione lombare durante il piegamento in avanti del tronco ma anche rinforzarlo applicando l’esercizio contro resistenza con pesi proprio al gesto che spaventava maggiormente la paziente.

E’ POSSIBILE AVER AVUTO UN MIGLIORAMENTO IMMEDIATO?

Uno dei benefici dell’esercizio fisico è la riduzione immediata e temporanea del dolore e questa è sicuramente un’arma da sfruttare per far prendere sicurezza alla paziente.
E’ logico però che se l’esercizio non fosse stato scelto correttamente e calibrato con precisione avremmo avuto l’effetto opposto.
Dopo aver sfruttato l’effetto “ipoalgesico” temporaneo dell’esercizio fisico abbiamo impostato una programmazione specifica nell’ambito di una periodizzazione a lungo termine inserendo anche altre tipologie di esercizi che contribuissero non solo a creare un adattamento muscolare positivo ma anche a rinforzare lo schema motorio corretto nella fase di piegamento e raddrizzamento del tronco.

RICORDIAMOCI INFATTI CHE LA SCHIENA E’ UNA STRUTTURA FORTE CHE PUO’ E DEVE MUOVERSI SENZA PAURA ANCHE PER SOLLEVARE PESI.

Per approfondimenti teorici:
• “Psychosocial factors in low back pain: letting go of our misconception can help management” (Mary O’Keeffe et al., British Journal of Sports Medicine 53(13)).

• “A meta-analytic review of the hypoalgesic effects of exercise” (Kelly M. Naugle et al.)

• “The relationship between posture and back muscle endurance in industrial workers with flexion-related low back pain” (O’Sullivan, P.B., et al. 2006;Man Ther 11(4): 264-271)

• “Which patients with low back pain benefit from deadlift training?” (Lars Berglund et al., Journal of Strength and Conditioning Research)